mercoledì 27 aprile 2011

Naka, maga, walla!


Una volta, tanto tempo fa, proprio dietro ad un luogo chiamato vietta stuorta, viveva una tribù di indiani Apachi. Tra loro stava anche un mio antenato e, poiché gli Apachi usavano misurare il valore dei loro ragazzi con un cimento terribile, al piccolo toccò superare la terribile “prova del coraggio” e dimostrare quanto impavido egli fosse. Si, perché gli Apachi erano un popolo guerriero e fiero. Erano dei veri duri e facevano sempre scorribande e stavano sempre a combattere e così via…

Per vedere se uno aveva fegato, lo mettevano in una caverna buia dove c'erano tanti animali strani ed in più, lo bendavano! La “prova del coraggio” consisteva nel trovare la via d'uscita dalla caverna senza togliersi la benda e usando solo il tomawak, battendolo sulle pareti della caverna con un sonoro: Toc! Toc! Toc!

Ora, in questa particolare occasione, toccò al mio trisavolo fare la “prova della caverna”. Come me si chiamava Longonida e quella prova non lo spaventava per nulla. Anzi, era lì che saltellava, scherzava, rideva, si divertiva un mondo e giocava. Anche quando gli Apachi più grandi lo sistemarono giù in fondo alla caverna, dov’era proprio scuro e lo bendarono dandosela poi a gambe, Longonida non perse il suo buon umore.

Gli Apachi piu grandi lo aspettavano fuori e ascoltavano.

Tutto era silenzio.

Poi, tutt'a un tratto si udì un frastuono tremendo!

GRAAAORRRRRR!!!

Una frana!

Auto! Come fare?

La terribile caduta di pietre e massi seppellì la caverna e questa fu la fine del piccolo Apache.

“Sarebbe tutto qua?” Pensereste voi. Dico sarebbe perché, un paio di mesi dopo, un gruppo di Comanches si avvicinò strisciando alla caverna. I Comanches, sono dei farabutti, vigliacchi, figli di chi so io e, con tipi simili, è meglio non averci nulla a che fare!

Dicevo, i Comanches si avvicinarono alla caverna, di nascosto, per fare piazza pulita di ogni cosa, quando, all'improvviso, dal profondo della grotta, uscì fuori il fantasma di Longonida che, facendo roteare il tomawak, caricò i Comanches e li fece scappare in tutte le direzioni.

Una volta sistemateli, senza fretta, si reinfilò nella caverna e sparì.

Da allora in poi, quando qualcuno della sua tribù era nei guai, il vecchio Longonida si precipitava a sistemare le cose e, chi rompeva le scatole al suo popolo, ci rimetteva le penne.

Se per caso vi chiedeste se il vecchio Longonida è ancora laggiù, nella buia caverna, allora vi racconterò la parte più interessante della storia, quella che è successa a me.

L'altra sera, mentre ero in giro al buio e per strada non c'era anima viva, tanto che faceva un po’ paura, sapete cos'ho visto?

Il fantasma di Longonida!

Quando lo vidi, m’immobilizzai dallo spavento e non riuscivo neppure a battere le ciglia. Lui era di fronte a me e ci fu un lungo istante di silenzio. Tutt'a un tratto, alzò la mano e disse:

«Naka, maga, walla!» e capii che dovevo stare tranquillo.

Naka, maga, walla significa “fratello di sangue” e dunque non avevo nulla da temere. Il fantasma mi disse che dovevo essere sereno, che non mi dovevo preoccupare di nulla, che lui avrebbe badato a me, che mi avrebbe protetto e fatto stare al sicuro. Poi cominciò a sfogarsi con me e mi disse che non ne poteva più di tutta la gente che viveva da queste parti, che era proprio stufo delle macchine, delle fabbriche e di quei farabutti che rovinavano la natura! E che prima o poi avrebbe rimesso ogni cosa al suo posto.

Questa cosa però mi fa un po’ preoccupare, perché, se lui spunta di là dietro, io non saprò proprio cosa fare con voialtri amici e amiche mie. Però, a pensarci bene, forse una cosa per voi la posso fare: Vi nominerò tutti fratelli di sangue, così sarete salvi!

Fate così, sputatevi sul pollice e dite: «Naka, maga, walla».

Ora, se avete fatto come vi ho detto, saremo tutti fratelli di sangue e, se uno di noi si troverà nei guai, basterà che si sputi sul pollice e che dica: «Naka, maga, walla» ed il vecchio Longonida uscirà fuori della sua caverna e lo salverà! Ma, nel caso lui fosse occupato, se non potesse, se fosse a fare colazione con la sua innamorata… allora dovrete aiutarvi tra voi. E, ogni volta che vedrete un amico, o qualcuno che ha bisogno d’aiuto, voi lo farete fratello di sangue. Perché più fratelli di sangue saremo, più possibilità di aiutarci avremo.

(Liberamente adattato dal film: “Una strada chiamata Domani”.)

giovedì 14 aprile 2011

"Festa Mobile"

Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, dovunque tu passi il resto della tua vita essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile.

Ernest Hemingway
a un amico, 1950

mercoledì 13 aprile 2011

I PONTI



La versione cinematografica de “I ponti di Madison County” ha sicuramente dato notorietà al bel libro omonimo di Robert J. Waller, da cui è stata tratta. Poiché il protagonista, Robert Kincaid, è un fotografo del National Geographic, la redazione della rivista ha ricevuto numerose richieste di lettori che domandavano quando è stato pubblicato il servizio sui ponti coperti realizzato da Kincaid.

La risposta è stata: mai.

La storia raccontata – prima nel libro, in seguito nella versione cinematografica interpretata da Meryl Streep e Clint Eastwood e poi in varie rappresentazioni teatrali -, è pura finzione e così i suoi personaggi. La vicenda narra di un fotografo e del suo servizio per il National Geographic sui ponti coperti nella contea di Madison in Iowa. Questi, casualmente, incontra Francesca, casalinga di origine italiana, i cui figli e marito sono via per una fiera di bestiame. Tra i due sboccia un grande amore e vivranno quattro giorni d’intensa passione cui, però, rinunceranno per non sciuparla con la quotidianità ed il rimorso di Francesca per aver lasciato la famiglia. Il ricordo di quei giorni non li abbandonerà mai e darà vita prima al “servizio” per il National, poi ad un libro fotografico che Kincaid dedicherà alla sua mai dimenticata Francesca.

Una romantica storia d’amore, di fantasia, ma verosimile. Quando si iniziò a girare il film, il National Geographic decise che anche la ricostruzione dell’attrezzatura fotografica doveva essere reale. Così furono inviate sul set due borse con macchine fotografiche usate negli anni Sessanta da un fotografo del National e venne realizzata, per l’occasione, questa finta copertina del maggio del ’66 e le foto del libro “Four Days” che vantano la paternità di Clit Eastwood.