venerdì 23 dicembre 2011

... la saggezza dello sciocco e la follia del saggio




Quando una freccia è incoccata sull’arco, prima o poi bisogna scoccarla.
(Proverbio Cinese)

E, visto che siamo in tema di citazioni, ecco quelle del "Il mio nome è Nessuno". Mi è doveroso celebrarle qui di seguito, visto l'enorme compagnia che mi hanno tenuto in questi ultimi 39 anni.

IL MIO NOME E' NESSUNO:

§ L'unico modo per allungarsi la vita è cercare di non accorciarla. (Nessuno)

§ Beato chi divide col prossimo i pesi della vita. (Nessuno)

§ Io ho giocato solo da bambino, e giocavo a Jack Beauregard. (Nessuno a Jack Beauregard nel cimitero indiano)

§ Luccichi come la porta di un bordello. (Jack Beauregard a Nessuno nel cimitero indiano)

§ Il destino spesso lo si incontra proprio sulla strada presa per evitarlo. (Nessuno)

§ Caro Nessuno, morire non è poi la cosa peggiore che possa capitare ad un uomo. Guarda me: sono morto da tre giorni, e finalmente ho trovato la pace. Dicevi sempre che la mia vita era appesa ad un filo, beh... adesso anche la tua è appesa ad un filo, e sono in molti a volerlo tagliare quel filo; ma a te piace rischiare, è il tuo modo di sentirti vivo. Ecco vedi, forse la differenza tra me e te è tutta qui: io, quando capivo che c'era un guaio in vista se potevo lo evitavo; tu no, se il guaio non c'è te lo inventi, e poi risolvi tutto lasciando il merito a un altro, così puoi continuare ad essere nessuno; non è mal pensata sai? Ma stavolta hai giocato grosso, e sono già in troppi a sapere che sei qualcuno, così finirai anche tu per farti un nome, e allora vedrai che non avrai più tempo per giocare, e sarà sempre più dura, finché magari troverai anche tu uno che ti vuol mettere nella storia e per tornare ad essere nessuno, si può solo morire. Beh, d'ora in poi dovrai camminare nelle mie scarpe e forse ti passerà un po' di tutta quella voglia di ridere che c'hai. Ma una cosa la puoi ancora fare: conservare un po' di quella illusione che faceva muovere noi altri, quelli della vecchia generazione, e anche se lo farai col tuo solito tono da burla te ne saremo grati lo stesso; Perché in fondo, ai miei tempi eravamo romantici, credevamo ancora di poter risolvere tutto faccia a faccia con un buon colpo di pistola, allora il west era immenso, sconfinato, deserto, un posto dove non si incontrava mai due volte la stessa persona. Poi? poi sei arrivato tu, ed è diventato piccolo, affollato, ci si incontra continuamente! Eppure, se tu puoi andare ancora in giro acchiappando mosche, lo puoi fare anche perché prima ci sono stati quelli come me. Sì, quelli che devono finire sui libri di scuola perché la gente deve pur credere in qualcosa, come dici tu. Ma non potrai certo farlo per molto tempo ancora. Il paese è cresciuto, è cambiato, io non lo riconosco più e già mi ci sento straniero. Ma quello che è peggio, è che anche la violenza è cambiata; si è organizzata! E un buon colpo di pistola non basta più. Ma tu lo sai già, perché questo è il tuo tempo, non più il mio. A proposito, ho trovato anche la morale della storiella che raccontava tuo nonno, sì quella dell'uccellino che la vacca aveva coperto di merda per farlo star caldo e che poi fu tirato fuori e mangiato dal cojote. È la morale dei tempi nuovi: Non tutti quelli che ti buttano della merda addosso lo fanno per farti del male, non tutti quelli che ti tirano fuori dalla merda lo fanno per farti del bene. Ma soprattutto, quando sei nella merda fino al collo, sta zitto. Perciò, uno come me deve andarsene, e devo dire la verità : la tua è stata una buona idea, all'altezza dei tempi nuovi . Con il tuo finto duello, hai trovato il modo più pulito di farmi uscire dal West. Del resto io sono stanco, e gli anni non fanno dei sapienti, fanno solo dei vecchi, è vero che si può essere come te, giovani di anni e vecchi di ore . Sto sputando sentenze, eh? Ma è colpa tua: come vuoi che parli un monumento nazionale? Ti auguro di incontrare uno di quelli che non si incontrano mai, o quasi mai, così potrete farvi compagnia . Per me è difficile che il miracolo si ripeta, ma come si dice ... la distanza fa più cara l'amicizia e l'assenza la fa più dolce . Ma adesso che non ti vedo da tre giorni, comincio già a sentire la tua mancanza. Beh, ora ti devo proprio lasciare, e anche se sei un gran ficcanaso rompiscatole e impiccione, grazie di tutto. Ah, dimenticavo, quando vai dal barbiere, assicurati che dietro al grembiule ci sia sempre la faccia giusta.(Jack Beauregard, lettera a Nessuno nella scena finale del film)

§ Jack Beauregard. 1848-1899. Nobody was faster on the draw. (Cartello stradale, appeso dove "morì" Jack)

§ Nessuno: Se te ne vai anche tu qui chi ci rimane? Nessuno.
Jack Beauregard: Smettere a volte è più difficile che cominciare.
Nessuno: Smettere è giusto, ma uno come te deve finire in bellezza.

§ Nessuno: Pensa che bello, fin da ragazzo ti ho sempre sognato così. Una pianura sterminata e deserta, centocinquanta figli di puttana scatenati a cavallo da una parte e dall'altra parte tu, solo.
Jack Beauregard: Perché solo centocinquanta?
Nessuno: Eh, il mucchio selvaggio sono solo centocinquanta no?
Jack Beauregard: Soltanto che cavalcano e sparano come fossero mille. Di un po' ma tu chi sei?
Nessuno: Io? Nessuno.
Jack Beauregard: Allora prima diventa qualcuno così ci andiamo in due e li accerchiamo.

§ Jack Beauregard: Che cosa fai qui?
Nessuno: Sto pregando.
Jack Beauregard: Fai bene a farlo.
Nessuno: Perché?
Jack Beauregard: Perché continui a seguirmi.
Nessuno: Ma io ho un sacco di amici qui. Ieri è morto Ramo Spezzato; il prete è arrivato in tempo, ma il medico no. Tu piuttosto che fai qui, in mezzo agli Indiani?
Jack Beauregard: Sto cercando qualcuno.
Nessuno: Amico o nemico?
Jack Beauregard: Sono affari miei.
Nessuno: Come si chiama?
Jack Beauregard: Affari suoi.

§ Nessuno [Mostrando a Jack il cappello bucato dai suoi proiettili]: Quattro colpi, un buco solo: proprio come ai bei tempi!
Jack Beauregard [Scansando le dita di Nessuno che coprivano un secondo foro nel cappello]: I bei tempi non ci sono mai stati. Di un po', qual è il tuo gioco?
Nessuno: Io ho giocato solo da bambino e giocavo a Jack Beauregard.

§ Nessuno [Cercando di convincere Jack Beauregard ad affrontare il Mucchio Selvaggio]: Pensa che bello, finiresti su tutti i libri di storia!
Jack Beauregard: Così tu saresti tra quelli che leggono, e io invece tra quelli che muoiono.

§ Jack Beauregard [rivolto a Nessuno]: Comunque mi hai salvato la pelle oggi, ma preferisco morire per colpa mia, che vivere per colpa tua.
Vecchio: Ahhh questa mi pare proprio una stronzata ragazzo, quello che è meglio è vivere, fregatene di chi è la colpa.

§ Nessuno: La conosci la storia dell'uccellino? Mio nonno me la raccontava sempre.
Jack Beauregard: Diventare nonni era estremamente difficile ai tempi miei.
Vecchio: Era difficile ragazzo, ma non impossibile.
Nessuno: Allora, questo uccellino non sapeva ancora volare; durante l'inverno, in una notte fredda, ruzzola giù dal nido e finisce sul sentiero. Comincia a gridare "PIIO PIIO PIIO" come un matto e sta per morire di freddo, ma fortuna per lui ecco che arriva una vacca; lo vede e pensa di scaldarlo, e così alza la coda e... SPLASH!, una margherita bella e fumante, grossa così. L'uccellino al caldo è tutto contento, tira fuori il capino e ricomincia "PI-PIIO PI-PIIO" più forte di prima. Ma un vecchio cojote lo sente e arriva di corsa, allunga una zampa e lo tira fuori dalla cacca, lo pulisce ben benino, e poi... GNAM! Se lo ingoia in un solo boccone. Il nonno diceva che la morale c'è, ma che bisogna trovarsela da soli.
Vecchio: …l'uccellino, il cojote, la margherita... a me queste storie di merda mi fanno scoppiare la testa.

§ Jack Beauregard: Perché vuoi farmi diventare un eroe?.
Nessuno: Ma lo sei già. Ti manca solo un gran finale, ti manca l'impresa da leggenda.
Jack Beauregard: Quello che non riesco a capire è perche a te importa tanto.
Nessuno: Un uomo che è un uomo deve credere in qualcosa.
Jack Beauregard: Nella vita ho incontrato di tutto, ladri, assassini, preti e preti spretati, ricattatori, ruffiani, perfino qualche uomo onesto, ma uomini soltanto mai.
Nessuno: Proprio di quelli parlo: non si incontrano quasi mai, ma sono gli unici che contano.

venerdì 16 dicembre 2011

Guru


Il problema, non è il problema, ma il tuo atteggiamento nei confronti del problema. Comprendì?

giovedì 15 dicembre 2011

Buena Vida!






“Tutte le esperienze che viviamo sono iniziazioni che la nostra anima attira a noi per poter crescere. Più lottiamo contro quello che la vita ci propone, più nutriamo le nostre forme pensiero, più ci indeboliamo. Quando la nostra anima chiede un’iniziazione, nulla può fermarla: ma perché questo accada, c’è un passaggio... di cui non possiamo fare a meno, quello di morire rispetto a ciò che crediamo di essere.” - A. Givaudan

mercoledì 14 dicembre 2011

La Zuppa Inglese


Si muove tra più elementi
con eguale fantasia,
sferruzza,
chatta
e s'intende di filosofia.
Chi è?

Alle mie gioie

Ricordate, figliole mie: qualunque cosa voi possiate temere nel buio, qualsiasi cosa a sua volta teme voi.

(Saggezza Pellerossa)

giovedì 1 dicembre 2011

Il lupo


Io sono il lupo.
La fame è la mia compagna,
la solitudine la mia sicurezza

Io sono l'istinto.
il freddo è il mio giaciglio,
il vento la mia sola coperta.

Io sono il silenzio.
Un'ombra nella foresta
impronte lungo il fiume
occhi di brace nel profondo buio.

Io sarò forse ucciso,
mai disperso, cancellato
come immortale spirito del bosco
di nuovo vigore sarò creato.
Io sono il lupo.

Poesia Io sono il lupo (Anonimo)


venerdì 25 novembre 2011

WAHIN KPE MAHPIYA

Malandrino!

Seduto vicino alla stufa - all'interno della "Casa nel Bosco", nella stanza dove dormiva -, Lamibrell, intonò una vecchia canzone che Dag gli aveva insegnato da bimbo:

"Perduto per strada,
felice nel mio nascondiglio,
lontano dai problemi di quando ero oppresso.
Nessuno può assillarmi
e nessuno può essermi pari.
Io sono il furbo malandrino,
che tutto prende e nulla dà!".

venerdì 28 ottobre 2011

Nella Casa nel Bosco


Il passato è andato,

il futuro non esiste…

dunque rimango io,

e, quest’attimo,

è l’assoluto.

La fonte ti mette alla prova...

Gibbs: <<Jack, te lo devo chiedere. Avevi i Calici, la lacrima, l'Acqua della Vita. Avresti potuto vivere, forse per sempre! Perché hai gettato tutto?>>

Jack: <<La Fonte ti mette alla prova, Gibbs. Ma è meglio non sapere in quale momento te ne andrai. Passare il corso della tua intera vita aperto all'infinito mistero del tutto. E non è detto che non viva per sempre!

SCOPRITORE DELLA FONTE DELLA GIOVINEZZA.

Non ho voce in capitolo Gibbs. La vita del Pirata è fatta così. Comprendi?>>.

martedì 20 settembre 2011

Oroscopo Pellerossa



Ogni popolo ha le sue tradizioni e spesso anche il suo oroscopo. Così come lo ha anche quello degli indiani d’America, i Pellerossa, una delle etnie a me più care. Alla base di questa filosofia non c’è il cielo, ma la terra con tutti suoi animali e le sue stagioni. Ovviamente le stagioni climatiche di riferimento sono quelle del Nord America, la zona abitata dai pellerossa. La prima Luna d’inverno corrisponde all’inizio dell’anno astrologico indiano, ed è rappresentato dall’Oca Polare. Ognuna delle 12 lune è guidata dal suo animale protettore, quindi anche in questo caso troviamo 12 segni zodiacali, molto diversi tra loro. Vediamoli insieme.

Le stagioni sono: il tempo di Wabun corrisponde alla primavera: il Grande Spirito si avvicina e la natura si risveglia. Il tempo di Shawnodese corrisponde alla nostra estate durante cui viene lo Spirito del Sud protettore del Coyote, simbolicamente riferito alla conoscenza. Il tempo di Mudjekewis è il nostro autunno, quello dello spirito occidentale protettore dell’orso Grizzly, infine, il tempo di Waboose, il corrispondente dell’inverno.


L’Oca Bianca inizia il 22 dicembre e finisce il 19 gennaio, è ambiziosa e idealista

La Lontra va dal 20 gennaio fino al 18 febbraio ed è caratterizzata da positività, inventiva, creatività, individualismo.


Il Puma sta tra il 19 febbraio e il 20 marzo, è leale e romantico

Il Falco Rosso va dal 21 marzo fino al 19 di aprile e rappresenta passionalità, istintività, indipendenza.

Il Castoro è dal 20 aprile fino al 20 di maggio è il segno della laboriosità, tenacia, creatività, gelosia.

Il Cervo è dal 21 maggio al 20 di giugno rappresenta la simpatia, intuitività e intelligenza.


Il Picchio va dal 21 giugno al 22 di luglio ed è sensibile e altruista.

Lo Storione che va dal 23 luglio al 22 di agosto e è il simbolo del coraggio e della determinazione.

L’orso si attesta dal 23 di agosto al 22 settembre, è fedele e disponibile.

Il Corvo va dal 23 settembre al 23 ottobre, è diplomatico ed allegro.

Il Serpente è dal 24 ottobre al 21 novembre, è curioso e ostinato.

L’Alce va dal 22 novembre al 21 dicembre., è tenace e onesta.


mercoledì 6 luglio 2011

Con profonda indignazione

Riporto un articolo che mi è piaciuto. Certo non è ciò che i mass media hanno mostrato agli italiani.

Di rientro dalla Valsusa... affumicato come un salmone ho visto una coscia di un manifestante esplodere squarciata da un lacrimogeno sparato ad altezza uomo, ho visto un agente appostato a tirare su spettatori inermi (forse perchè infastidito dalle loro riprese). Ho visto sassi di diversi chili volare lanciati da un cavalcavia di 80 metri... e sul cavalcavia c'erano solo tutori dell'ordine... e sotto c'ero io... e penso che non pago le tasse per tutto questo, e non voglio che i nostri ragazzi crescano pensando che la repressione violenta ed istituzionale, sia la risposta dovuta a qualsiasi costo, alle proteste ed alle istanze che vengono da parte dei cittadini. ho anche visto volare pietre dal lato dei manifestanti (in maglietta felpa e caschetto da cantiere) indirizzate verso plotoni di polizia armati e coperti fino ai denti, schierati a difendere supinamente loschi affari di orribili affaristi. ed ho pensato che io non voglio credere che la nonviolenza rimanga senza strumenti e senza la mia voce, ma che di fronte a un uso impressionante della violenza stupida e sorda.... la forza della nonviolenza a volte risplende di meno non ho neanche toccato un sasso, nè un bastone... mi sono avvicinato solo alle recinzioni (belle robuste) ed ho gridato (senza insultare) che il progetto alta velocià a me non piace , è uno spreco di denaro, un insulto all'ambiente ed ad una popolazione, un' ubriacatura per l'egoismo di qualcuno che pensa che arrivare mezz'ora prima a parigi o a lisbona significhi qualcosa.... mi han gasato.... ho camminato su sentieri ripidi di montagna due ore di fianco a dei ragazzi vestiti di nero e condiviso la borraccia con loro e quando è poi stato il momento il malox e il limone... ragazzi un po'disorientati, forse , ma in ricerca, un po' randagi, con gli occhi buoni come i loro cani enormi ed inermi.... un'armata brancaleone che sogna un mondo migliore e pensa che questo possa essere costruito pietra su pietra... anche scagliandola addosso al gigante che non ti ascolta ... non condivido il loro metodo, ma mi fanno tanta tenerezza... Loro sognano e si battono per le loro idee mettendoci i loro giovani corpi, corazzati da materassini e caschi della vespa Gli altri dall'altra parte, obbediscono, coperti di protezioni e corazze e scudi, riescono a vestire e liberarsi della loro umanità a comando (perchè penso che, finito il "servizio" anche loro tornino a giocare con i loro figli )... Ai miei ragazzi insegno a non stare mai zitti e a non rinunciare ai propri diritti... usando la forza della nonviolenza... mettendoci tutta la loro faccia.... spero sinceramente che non si trovino mai a essere tra quei ragazzi un po' randagi e disorientati pulciosetti e sognatori, ed ancor meno tra quegli altri in divisa, gonfi ed impacciati nelle loro armature... Ma se proprio dovessi scegliere... augurerei loro qualche pulce!

Di: Giampiero Monaca

venerdì 17 giugno 2011

Venerdi 17

Il numero 17, in particolare abbinato al giorno venerdì, è un numero ritenuto particolarmente sfortunato in Italia e altri paesi di origine greco-latina. Esistono diversi pregiudizi legati ad esso, principalmente legati alla cultura popolare e alla superstizione. In particolare il venerdì 17 è una ricorrenza considerata particolarmente sfortunata, in quanto unione di due elementi ognuno dei quali estremamente negativo: il Venerdì Santo (dato della presunta morte di Gesù) e il numero 17. Una simile situazione si ritrova nei paesi anglosassoni nei confronti del numero 13.

Già nella Grecia antica il numero 17 era aborrito dai seguaci di Pitagora in quanto era tra il 16 e il 18, perfetti nella loro rappresentazione di quadrilateri 4×4 e 3×6.

Nell'Antico Testamento è scritto che il diluvio universale cominciò il 17 del secondo mese (Genesi, 7-11). Sempre secondo la Bibbia, di venerdì sarebbe morto Gesù. Viceversa, secondo la Cabala ebraica, il 17 è un numero propizio, in quanto ché è il risultato della somma del valore numerico delle lettere ebraiche têt (9) + waw (6) + bêth (2), che lette nell'ordine danno la parola tôv buono, bene".

Sulle tombe dei defunti dell'antica Roma era comune la scritta "VIXI" ("ho vissuto", cioè ora "sono morto"...): durante il Medioevo le popolazioni Italiane che avevano abbandonato il latino in favore dei dialetti e che attraversavano un periodo storico caratterizzato da analfabetismo, confusero tale iscrizione con il numero 17 (rappresentato da "XVII" nel sistema di numerazione romano).

È possibile che la paura del numero 17 derivi dalla battaglia di Teutoburgo del 9 d.c. combattuta tra i romani ed i germani di Arminio e dalla distruzione delle legioni 17, 18 e 19: dopo quella data questi numeri, ritenuti infausti, non furono più attribuiti a nessuna legione.

Nella Smorfia napoletana il 17 è sinonimo di "disgrazia".

È così giunta fino ai nostri giorni la credenza superstiziosa per cui il numero 17 sia un simbolo di sventura.

Il venerdì 17 è una superstizione tipicamente italiana, non riscontrabile altrove: nel mondo si ritrovano infatti altre date ed altri numeri "negativi". Si è già detto di "venerdì 13" nei paesi anglosassoni, mentre in Spagna (paese anch'esso dalle radici latine e cattoliche),Grecia e in Sudamerica il giorno sfortunato è invece "martedì 13".

lunedì 9 maggio 2011

Un articolo della mia "piccola"




IL GENOCIDIO ARMENO





L'espressione Genocidio (dal greco γένος, razza, e dal latino caedo, uccidere, atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso) armeno si riferisce a due eventi distinti, ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli armeni negli anni 1894-1896; il secondo alla deportazione ed eliminazione di armeni negli anni 1915-1916. Il termine genocidio è associato soprattutto al secondo episodio, che viene commemorato dagli Armeni il 24 aprile (giorno in cui i Turchi inviarono la campagna di sterminio del popolo armeno).


Gli Armeni sono gli abitanti autoctoni dell'Armenia (anche stanziati nell'Anatolia orientale), situata nel Caucaso meridionale, dove, più di duemila anni fa, hanno costituito un proprio stato unitario che, nel corso dei secoli, ha perso, e più volte riconquistato, la propria indipendenza. La loro più lunga dominazione è stata quella dei Turchi che vi penetrarono per la prima volta circa 900 anni fa. L'Armenia, chiamata anche Hayastan, è un paese montuoso che confina con la Georgia, l'Azerbaigian, la Turchia e l'Iran. La capitale è Erevan, l'antica Erepuni fondata nel 782 a.C. che si trova a circa 1000 metri d'altitudine, dominata dal Monte Ararat alto 5165 metri.




Primo genocidio (1984-1985).

Gli armeni erano sostenuti dalla Russia nella loro lotta per l'indipendenza. Poiché essa voleva conquistare l'Impero Ottomano per appropriarsi di Costantinopoli e dei vicini territori, i turchi vollero reprimere questa indipendenza e iniziarono, con i curdi, a nutrire sentimenti di odio per quel paese. I curdi infatti fecero subire oppressioni agli armeni, mentre gli ottomani aumentarono le tasse, causando così una ribellione armena, nella quale l'esercito ottomano, affiancato da milizie irregolari curde, rispose assassinando migliaia di armeni e bruciandone i villaggi.




Secondo genocidio (1915-1916).

In un congresso segreto dei "Giovani Turchi (che sembrano intenzionati ad abbattere il sistema imperiale per poi creare una federazione di tutti i popoli precedentemente inclusi nell'Impero)", tenutosi a Salonicco nel 1911, fu deciso di sopprimere totalmente gli armeni residenti in Turchia per timore che questi si alleassero con i loro nemici: i Russi. L'occasione per realizzare questo piano di sterminio si presentò con lo scoppio del Primo Conflitto Mondiale, quando le potenze europee, impegnate nella guerra, non potevano interferire nelle faccende interne della Turchia.

Inizialmente furono chiamati alle armi tutti gli Armeni validi che, dopo esser stati separati dai loro reparti, vennero uccisi. Subito dopo toccò a intellettuali, sacerdoti e dirigenti politici, ma tutte le donne, i bambini e i vecchi armeni non vennero toccati: per loro si era deciso la deportazione, ma le donne, prima di essere uccise, sarebbero state anche violentate. Usando come pretesto la prossimità della zona di guerra, gli armeni, vennero costretti ad abbandonare le loro abitazioni per trasferirsi, così gli fu detto, in zone più sicure. Per strada, le carovane dei deportati, venivano sistematicamente assalite da bande di malfattori fatti uscire appositamente dal carcere, il cui compito era lo sterminio degli Armeni. Chi riusciva a sfuggire al massacro moriva per la fame, la sete, le malattie e gli stenti del lungo viaggio compiuto a piedi per centinaia di chilometri. Perirono così circa 1.500.000 di persone: la quasi totalità degli Armeni di Turchia. Si salvarono solo quelli residenti a Istanbul e Smirne, perchè troppo vicini a sedi diplomatiche straniere, e gli abitanti di alcune province in prossimità del confine russo, che si misero al riparo fuggendo oltre frontiera.




"La masseria delle allodole" di Antonia Arslan (Padova,1938)


In questo libro, in cui si tratta il genocidio armeno dell’inizio 900, l’autrice narra la storia di un gruppo di armeni (e della sua famiglia) che vissero in Anatolia in quel periodo e si ispira ai suoi ricordi familiari.

Questo romanzo ha vinto il premio Stresa di narrativa nel 2004


Trama.

La storia si apre con la descrizione dei componenti della famiglia Arslanian.

Quando il capofamiglia muore, Sempad, il secondogenito, deve occuparsi della famiglia poiché il primogenito, Yerwant, è partito giovanissimo per l’Italia per fuggire il più lontano possibile da Nevart, la sua matrigna; Sempad, oltre a Yerwant, ha pure due sorelle, Azniv e Veron, e due fratelli, Rupen e Zareh. Le sorelle vivono con la matrigna, Rupen vive a Boston e Zareh vive ad Aleppo. Veron vorrebbe un fidanzato americano e pensa che se andasse a trovare Rupen a Boston forse potrebbe trovarlo. La sorella, Azniv, ha un ragazzo armeno, ma viene corteggiata da un ufficiale turco, Djelal. Zareh è pure lui medico e crede di essersi distaccato dall’ingombrante famiglia lontana; manda a tutti loro una valigia di broccati d’Aleppo ogni due anni. Nell’ultimo invio egli aggiunse per Azniv, sorella minore, una pezza di seta rosso granata con rose di velluto a fili d’oro in rilievo; questa seta finirà nel deserto e le servirà da coperta. Un giorno, mentre Azniv legge un romanzo seduta sulla panchina di legno di casa sua sente qualcuno che la chiama: è Djelal. E’ venuto perché sa già della deportazione degli Armeni, ma non le dice niente, e vuole salvarla. Le chiede di sposarlo e di scappare con lui a Parigi. Sempad nel frattempo aveva fatto spianare il terreno nello spiazzo della masseria per creare un lawn tennis. Ma, arrivato il giorno di Pasqua, ipiani di Azniv, scappare con l’ufficiale, e di Sempad, rivedere suo fratello, sfumarono.

Mentre si preparano per pranzare arriva Krikor disperato, ed informa Sempad che tutti gli uomini del quartiere sono stati arrestati e che tale sorte sarebbe toccata pure a loro. Allora decidono di rifugiarsi alla masseria, dove, poco dopo, li avrebbero raggiunti la moglie Shushanig con i figli e alcuni amici. Partiti i due uomini, Shushanig si reca nella sua grande stanza, e apre una scatola piena d'oro e gioielli. La divide in due sacchetti e ne affida uno ad Ismene, una lamentatrice greca, e le dice di indagare su ciò che sta avvenendo. Ma il tenente Ismail scopre l’accaduto e raduna i soldati per punire tutti coloro che si trovano alla Masseria, uccidendo brutalmente tutti gli uomini presenti e gettandoli poi in quello che sarebbe dovuto diventare un lawn-tennis. Poco dopo, un colonnello scopre l’accaduto e provvede ad una degna sepoltura per i poveri uomini armeni. Essi ancora non lo sanno, ma per loro, quello, sarà l’ultimo funerale.


Shushanig torna a casa e, a tarda sera appaiono le solite guardie in compagnia di un banditore che proclama che le famiglie armene hanno trentasei ore per lasciare la città e i loro beni. Le donne chiedono dove sono i loro mariti e i soldati rispondono loro che le aspettano fuori città. In realtà sono tutti morti e nessuna li rivedrà mai più. Yerwant, non avendo più ricevuto telegrammi da Sempad, inizia a sospettare qualcosa e, piano piano, scoprirà dalle minime informazioni che trapelano dall’estero, che la mettono al corrente delle stragi armene. All’alba tutti gli Armeni sono già nelle carrozze e pronti a partire. All’uscita dalla città i carri degli Armeni, guidati dai gendarmi, si fermano per la notte. Vengono assaliti dai curdi che aiutano i turchi nel genocidio. Così ha inizio lo sterminio degli Armeni: molti muoiono di fame e di disperazione, altri vengono assassinati a bruciapelo e le donne vengono violentate e poi uccise.

Quando i deportati stanno per arrivare a Konya, la città santa, i gendarmi, per non far capire niente agli abitanti, fermano gli armeni prima di entrare in città. Ma le urla delle armene disperate faranno capire ai dervisci (discepoli di alcune confraternite islamiche) la loro sorte crudele. Il capo delle guardie ordinerà ai suoi uomini i prigionieri ed è così che Shushanig rincontrerà Ismene. Quest’ultima, insieme ad Isacco e Nazim, arrivati a Konya, trovano Shushanig e la sua famiglia: le danno da mangiare e le dicono che torneranno per liberarli. Yerwant riceve una lettera da Zareh, il fratello che vive ad Aleppo. E’ una lettera in codice dove gli dice di non scrivere più a casa sua, ma di informarsi al consolato francese. Ismene poi cerca Zareh e lo trova in un albergo francese. Gli racconta ciò che è successo a Sempad e alla sua famiglia e escogitano un modo per salvarli. Zareh si farà aiutare da Marie Josephine, moglie del console. Assieme corrompono il comandante e una guardia del campo, sicchè, una notte, entrati nel campo, riescono a salvare lei e le sue figlie. Ormai è troppo tardi per Azniv, uccisa dai soldati, e per Veron morta per la fame. Così, le figlie di Sempad con Shushanig, restano un anno con Zareh. Poi Shushanig muore di crepacuore e le figlie vengono mandate in Italia da Yerwant. Ed è proprio l’ufficiale Djelal ad aiutarle a fuggire e poi a testimoniare al processo per le stragi armene a Costantinopoli nel 1919. Ismene e Isacco partono per Smirne. Nazim scompare, forse per esercitare la sua professione alla Mecca. Nessuno è più tornato nella piccola città.




Il genocidio armeno: perchè?

Uno dei motivi principali per cui avvenne questo genocidio è che, con il crescere dei Nazionalismo e il rafforzarsi del Panturchismo (ideologia diffusa nei Balcani che mira a congiungere tutti i popoli che appartengono al gruppo linguistico turcofono), gli armeni, con la loro cultura, erano visti come un ostacolo alla formazione di un unica grande Regione di origine Turca. I turchi li consideravano perciò dei traditori. Inoltre, con lo scoppio della I Guerra Mondiale, gli Armeni si trovavano fra due stati in conflitto (Turchia e Russia): molti di questi, residenti in Turchia, volevano rimanere neutrali poiché in Russia vivevano molti loro parenti.

I principali politici responsabili di questo sterminio furono Talaat, Djemal, Enver e Mustafa Kemal (detto Ataturk).




Dopo lo sterminio.

Al termine della Prima Guerra Mondiale, in seguito alla sconfitta della Turchia, cadde il regime dei "Giovani Turchi" ed il nuovo governo istituì - controvoglia e per ingraziarsi le potenze europee vincitrici - una corte marziale per giudicare i responsabili dello sterminio degli Armeni. Solo alcuni fra i principali organizzatori del genocidio armeno furono poi uccisi da parte di giustizieri armeni.

La Turchia, dal genocidio in poi, ha continuato ad avere un atteggiamento ostile, che persiste tutt'ora, nei confronti delle poche decine di migliaia di armeni rimasti in quel paese, concentrati quasi esclusivamente ad Istanbul. Tra il 1939 e il 1964, sempre in Anatolia, vi è stato un terzo massacro di armeni. Nel 1942 è stata emanata la cosiddetta tassa sulla ricchezza, ideata ed attuata al solo scopo di distruggere economicamente le minoranze armene, greche ed ebree del paese. L’anno successivo è stato tentato un ulteriore massacro di armeni con il pretesto di una chiamata alle armi, ma venne scongiurato.

Dal 1992 la Turchia mantiene chiuso il confine con l'Armenia.




Negazione del genocidio.

A differenza dell’olocausto ebraico, riconosciuto e condannato dai tedeschi, quello armeno non è stato né riconosciuto né tanto meno condannato da parte della Turchia attuale che anzi, in ogni occasione, sia pubblicamente che in privato, continua a negare il fatto che tale genocidio sia mai avvenuto. Inoltre la Turchia, tutt’ora paga ingenti somme per nascondere la vera storia, corrompe politici, studiosi e giornalisti occidentali per fare negare questa terribile strage. Inoltre sono stati messi in circolazione dalla Turchia dei falsi documenti storici per sviare le piste su questo massacro. Nonostante la negazione della Turchia e le sue reticenze, lo sterminio armeno è un dato di fatto incontestabile, ampiamente documentato da testi scritti e fotografie, oltre che dalle narrazioni dei superstiti, anche da parte di testimoni stranieri.




In conclusione.

E' evidente che fin tanto che il genocidio armeno non verrà ufficialmente condannato, esso costituirà un esempio negativo che potrà incoraggiare altri a compiere simili crimini: ieri sono stati gli Armeni ed i Greci ad essere sterminati, oggi sono i Curdi. Tutto ciò si verifica anche perchè il genocidio armeno non è stato sufficientemente condannato.

Il genocidio armeno, nonostante le negazioni Turche, c’è stato, bisogna saperlo e ricordarlo. Bisogna ricordare le vite spezzate di ognuna di queste persone per far sì che non avvengano più altri atti simili, così crudeli e insensibili, questo è l’unico modo per far sì che tutte queste morti non siano avvenute invano.









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Fonti:

Wikipedia, Il Genocidio armeno

Filmato su youtube: tratto da una trasmissione Rai3

La masseria delle allodole, Antonia Arslan, (BUR 2007)

Film "La masseria delle allodole", f.lli Taviani (2007)

martedì 3 maggio 2011

AYAAAAK!

Il mio vecchio amico Zagor compierà 50’anni il 15 giugno del corrente anno e, come potete vedere dalla vignetta, gode di ottima salute e non dimostra affatto la sua età. Dal mese di maggio cominciano i festeggiamenti per il suo cinquantennale, un traguardo straordinario che si celebrerà, ufficialmente, con il numero 602 della collana Zenith, tutto a colori e in edicola dal prossimo 3 giugno.

Di tutti i miei fumetti, questo è l’ultimo rimastomi a tenermi compagnia. Le stupende matite di Ferri Gallieno mi riportano alla mia infanzia e, così tanto m’immedesimo nelle storie che, quando sono in giro per i boschi delle mie montagne, mi sembra d’udir un urlo di battaglia che fa press’a poco così: ayaaaak!

mercoledì 27 aprile 2011

Naka, maga, walla!


Una volta, tanto tempo fa, proprio dietro ad un luogo chiamato vietta stuorta, viveva una tribù di indiani Apachi. Tra loro stava anche un mio antenato e, poiché gli Apachi usavano misurare il valore dei loro ragazzi con un cimento terribile, al piccolo toccò superare la terribile “prova del coraggio” e dimostrare quanto impavido egli fosse. Si, perché gli Apachi erano un popolo guerriero e fiero. Erano dei veri duri e facevano sempre scorribande e stavano sempre a combattere e così via…

Per vedere se uno aveva fegato, lo mettevano in una caverna buia dove c'erano tanti animali strani ed in più, lo bendavano! La “prova del coraggio” consisteva nel trovare la via d'uscita dalla caverna senza togliersi la benda e usando solo il tomawak, battendolo sulle pareti della caverna con un sonoro: Toc! Toc! Toc!

Ora, in questa particolare occasione, toccò al mio trisavolo fare la “prova della caverna”. Come me si chiamava Longonida e quella prova non lo spaventava per nulla. Anzi, era lì che saltellava, scherzava, rideva, si divertiva un mondo e giocava. Anche quando gli Apachi più grandi lo sistemarono giù in fondo alla caverna, dov’era proprio scuro e lo bendarono dandosela poi a gambe, Longonida non perse il suo buon umore.

Gli Apachi piu grandi lo aspettavano fuori e ascoltavano.

Tutto era silenzio.

Poi, tutt'a un tratto si udì un frastuono tremendo!

GRAAAORRRRRR!!!

Una frana!

Auto! Come fare?

La terribile caduta di pietre e massi seppellì la caverna e questa fu la fine del piccolo Apache.

“Sarebbe tutto qua?” Pensereste voi. Dico sarebbe perché, un paio di mesi dopo, un gruppo di Comanches si avvicinò strisciando alla caverna. I Comanches, sono dei farabutti, vigliacchi, figli di chi so io e, con tipi simili, è meglio non averci nulla a che fare!

Dicevo, i Comanches si avvicinarono alla caverna, di nascosto, per fare piazza pulita di ogni cosa, quando, all'improvviso, dal profondo della grotta, uscì fuori il fantasma di Longonida che, facendo roteare il tomawak, caricò i Comanches e li fece scappare in tutte le direzioni.

Una volta sistemateli, senza fretta, si reinfilò nella caverna e sparì.

Da allora in poi, quando qualcuno della sua tribù era nei guai, il vecchio Longonida si precipitava a sistemare le cose e, chi rompeva le scatole al suo popolo, ci rimetteva le penne.

Se per caso vi chiedeste se il vecchio Longonida è ancora laggiù, nella buia caverna, allora vi racconterò la parte più interessante della storia, quella che è successa a me.

L'altra sera, mentre ero in giro al buio e per strada non c'era anima viva, tanto che faceva un po’ paura, sapete cos'ho visto?

Il fantasma di Longonida!

Quando lo vidi, m’immobilizzai dallo spavento e non riuscivo neppure a battere le ciglia. Lui era di fronte a me e ci fu un lungo istante di silenzio. Tutt'a un tratto, alzò la mano e disse:

«Naka, maga, walla!» e capii che dovevo stare tranquillo.

Naka, maga, walla significa “fratello di sangue” e dunque non avevo nulla da temere. Il fantasma mi disse che dovevo essere sereno, che non mi dovevo preoccupare di nulla, che lui avrebbe badato a me, che mi avrebbe protetto e fatto stare al sicuro. Poi cominciò a sfogarsi con me e mi disse che non ne poteva più di tutta la gente che viveva da queste parti, che era proprio stufo delle macchine, delle fabbriche e di quei farabutti che rovinavano la natura! E che prima o poi avrebbe rimesso ogni cosa al suo posto.

Questa cosa però mi fa un po’ preoccupare, perché, se lui spunta di là dietro, io non saprò proprio cosa fare con voialtri amici e amiche mie. Però, a pensarci bene, forse una cosa per voi la posso fare: Vi nominerò tutti fratelli di sangue, così sarete salvi!

Fate così, sputatevi sul pollice e dite: «Naka, maga, walla».

Ora, se avete fatto come vi ho detto, saremo tutti fratelli di sangue e, se uno di noi si troverà nei guai, basterà che si sputi sul pollice e che dica: «Naka, maga, walla» ed il vecchio Longonida uscirà fuori della sua caverna e lo salverà! Ma, nel caso lui fosse occupato, se non potesse, se fosse a fare colazione con la sua innamorata… allora dovrete aiutarvi tra voi. E, ogni volta che vedrete un amico, o qualcuno che ha bisogno d’aiuto, voi lo farete fratello di sangue. Perché più fratelli di sangue saremo, più possibilità di aiutarci avremo.

(Liberamente adattato dal film: “Una strada chiamata Domani”.)

giovedì 14 aprile 2011

"Festa Mobile"

Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, dovunque tu passi il resto della tua vita essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile.

Ernest Hemingway
a un amico, 1950

mercoledì 13 aprile 2011

I PONTI



La versione cinematografica de “I ponti di Madison County” ha sicuramente dato notorietà al bel libro omonimo di Robert J. Waller, da cui è stata tratta. Poiché il protagonista, Robert Kincaid, è un fotografo del National Geographic, la redazione della rivista ha ricevuto numerose richieste di lettori che domandavano quando è stato pubblicato il servizio sui ponti coperti realizzato da Kincaid.

La risposta è stata: mai.

La storia raccontata – prima nel libro, in seguito nella versione cinematografica interpretata da Meryl Streep e Clint Eastwood e poi in varie rappresentazioni teatrali -, è pura finzione e così i suoi personaggi. La vicenda narra di un fotografo e del suo servizio per il National Geographic sui ponti coperti nella contea di Madison in Iowa. Questi, casualmente, incontra Francesca, casalinga di origine italiana, i cui figli e marito sono via per una fiera di bestiame. Tra i due sboccia un grande amore e vivranno quattro giorni d’intensa passione cui, però, rinunceranno per non sciuparla con la quotidianità ed il rimorso di Francesca per aver lasciato la famiglia. Il ricordo di quei giorni non li abbandonerà mai e darà vita prima al “servizio” per il National, poi ad un libro fotografico che Kincaid dedicherà alla sua mai dimenticata Francesca.

Una romantica storia d’amore, di fantasia, ma verosimile. Quando si iniziò a girare il film, il National Geographic decise che anche la ricostruzione dell’attrezzatura fotografica doveva essere reale. Così furono inviate sul set due borse con macchine fotografiche usate negli anni Sessanta da un fotografo del National e venne realizzata, per l’occasione, questa finta copertina del maggio del ’66 e le foto del libro “Four Days” che vantano la paternità di Clit Eastwood.