mercoledì 6 novembre 2024

THE END

 

Arrivo a Patrasso verso mezzogiorno, vado alla biglietteria marittima e acquisto, per il giorno stesso, un posto ponte per Bari.


La nave partirà alle 17.30 per cui ho alcune ore libere per mangiare, fare un giretto in città e organizzarmi per la traversata. Patrasso non è più la squallida cittadina portuale che conoscevo, si è vivacizzata. Ora ci sono bei negozi e tanti localini. Certo, le periferie sono un po' malmesse, ma è inevitabile che sia così. Quando ritorno nell'area portuale la memoria mi riporta indietro di una ventina d’anni e noto l’assenza dei ragazzini che scavalcano le barriere con l’intento d’imbarcarsi clandestinamente per l'Italia. Probabilmente il “Bel Paese” non è più considerata una meta così appetibile.

Mi avvio verso il check in, un dedalo di corridoi che mi conduce inaspettatamente al posto di Polizia di Frontiera dove vengo invitato a presentare i documenti. Quando vedono la mia nazionalità mi scrutano attentamente il volto e lo confrontano con quello sulla Carta d'Identità. Eseguono più volte questa manfrina, come avevano fatto in Russia prima della Perestrojka e poi mi conducono in un'altra stanza dove mi fanno smontare armi e bagagli da Carmencita. Segue un'accurata ispezione che si conclude con il sequestro del mio Opinel valenciano e del mio fornellino da campeggio, con bombola annessa, al quale sono molto affezionato perché viaggia con me dal 1982. Provo a protestare, ma non c'è nulla da fare. Mi dicono che le mie cose mi verranno restituite dalla Polizia Italiana.

Entro in stiva e lego la bici dove mi viene detto. Salgo sul ponte della nave usando le scale mobili e mi trovo un posticino dove sistemare tutte le mie cose. Poi vedo Massel, un tedesco enorme che avevo conosciuto al campeggio di Alissos. Anche lui si cucinava col fornellino e si tagliava il pane col coltello. Mi viene spontaneo chiedergli se avessero perquisito anche lui.

"Nain" mi dice. Gli hanno solo controllato passaporto e documenti di viaggio.

Immaginavo...

"Italia Grezia, una fazza una razza".

Si, una volta, forse.

A una certa, apro stuoia e sacco a pelo e mi allungo per riposare.

Arrivo a Bari con un'ora di ritardo. Un'altra mezz'ora se ne va nello sbarco. Sono le 10.30. Il treno InterCity per Milano, l'unico sul quale possa portare la mia bici, arriverà alla stazione di Bari Centrale alle 11.50. Ho tempo per andare alla Polizia a prendermi le mie cose, o almeno così credevo, perché una volta lì le cose andranno diversamente.

"Ma lei lo ha detto al personale della nave che la Polizia greca le ha sequestrato della roba?" Mi domanda un agente.

"No. Dovevo?" chiedo.

"Certo. Così ce la portavano."

"Scusi” replico. “Ma non è una prassi che dovrebbero eseguire in autonomia?"

Il poliziotto sorride.

Intuisco che la mia roba è persa.

"E poi c'è un'altra cosa" aggiungo.

"C’era un tedesco con me sulla nave. Anche lui aveva fornellino e coltellino. Lo so perché eravamo nello stesso campeggio e glieli ho visti usare. Perché a lui glieli hanno lasciati e a me no?"

Pazientemente il poliziotto mi spiega: "Vede, lei si è vinto una perquisizione. Ogni tanto, a campione, vengono eseguite delle perquisizioni, lo facciamo anche noi. La perquisizione è toccata a lei."

Solita fortuna, penso.

Poi il poliziotto aggiunge: "Se torna sulla nave e spiega il tutto alle autorità, vedrà che ci portano le sue cose e noi gliele restituiamo."

"Grazie, ma tra un'ora ho il treno per Milano. Perderlo vuol dire fermarmi una notte a Bari e sinceramente preferirei evitarlo."

Ringrazio, saluto e mi precipito in stazione.

Alla biglietteria mi aspetta una notizia che non definirei buona. Sul mio treno, che è l’unico per il Nord Italia che può trasportare biciclette al seguito, non c'è il posto per la bici e non possono quindi emettere il biglietto.

Scalogna maledetta!

Il fato si sta impegnando a crearmi contrattempi.

Non fidandomi faccio un controllo tramite il terminale della biglietteria automatica. In effetti è vero. Vedo che il risultato della mia ricerca si risolve con: "Biglietto non emissibile. Posto bici non disponibile".

Mi viene in mente l'esistenza di Flixbus. Penso che potrei prendere un pullman su cui caricarvi la bici. Certo, il viaggio sarà più lungo e scomodo, ma almeno non dovrò fermarmi a dormire a Bari.

Faccio così un altro buco nell’acqua: Nell'immediato non ci sono Flixbus con portabici, nei prossimi giorni vengono stivati solo bagagli ordinari.

Non mi dò per vinto. Decido di andare al binario e prendere il treno anche senza biglietto, lo farò a bordo. Mal che vada non mi faranno salire, o m’inviteranno a scendere.

Sono sul binario da appena due minuti quando arriva il treno. Salgo senza problemi e appendo la bici nell’apposita carrozza. Su sei portabici ce ne sono tre liberi e questo dimostra che l'informatica non è una scienza esatta.

Carmencita è la quarta, quella con la borraccia rossa.

Mi accomodo e non appena il treno parte vado dal capotreno, una donna, e gli dico che sono salito di corsa e che dovrei fare il biglietto.

“Mò vengo...” mi risponde.

Arriverà il suo collega due ore più tardi e mi farà il biglietto senza problemi e senza supplementi.

Se penso che se fossi stato meno determinato non avrei mai preso questo treno, mi monta una certa avversione per l'esagerata informatizzazione. Fortunatamente il mio stato di boomer m'ha permesso di trovare una soluzione alla maniera dei vecchi tempi.

Mi compro sull'app di TrenItalia il biglietto per Torino delle 22.15 e arrivo a Milano Centrale in tempo per salire sul mio treno. Il vagone per le bici è in testa al convoglio e fino a Vercelli viaggio in compagnia di parecchi Glovo di altre etnie e di scalcinate e-bike.

Inganno il tempo facendo un bilancio di questi due mesi di viaggio in bicicletta: 3600 km a fronte di 35000 metri di dislivello. Non male per un anziano signore sgangherato ☺.

È mezzanotte passata quando arrivo a Torino. Accendo i faretti e pedalo, gli ultimi chilometri che mi separano da casa, silenzioso e nella nebbia.

 Ad aprirmi la porta di casa ci sarà Sara, ma anche una gradita ospite che fa le veci di Laura e che ormai è di famiglia.


(Torino, 7 novembre 2024)

domenica 3 novembre 2024

UN PERIPLO DEL PELOPONNESO, O QUASI

 

A bordo del Kissamos giungo al Pireo. La nave è affollatissima, raccoglie i numerosi passeggeri che sono rimasti bloccati per lo sciopero, molti sono studenti e insegnanti che hanno concluso le vacanze-studio e gli Erasmus.

Lo sbarco richiede circa un'ora e rimanere in angusti corridoi muovendosi a micro-passi, peggio che all'uscita dalla chiesa alla messa delle 10 negli anni'60, non è per nulla un'esperienza piacevole. Se fosse capitato un imprevisto, salvarsi sarebbe stato impossibile.
Finalmente sono sulla banchina, è ancora buio. Accendo le luci e mi metto in marcia verso Corinto.
Pedalo da alcune ore bello tranquillo lungo lo stradone, quando mi affianca questo tizio


e mi fa:
"Ehi Max! Come si fa a diventare un Avengers?"
"Eh, amico..." gli rispondo. "Devi parlare col Capitano".
Mostra le dita a "V" in segno di saluto e se ne va sogommando con gli scarichi in fiamme.

Ecco lo Stretto di Corinto.

Dato che sto bene continuo a Pedalare fino a Nafplio, una bellissima città che è stata anche la prima capitale dello Stato Greco. Qui campeggi non ce ne sono, mi tocca andare a Tolo, portando così a160 i km della giornata odierna. Stanco ma felice: Sono nel Peloponneso!☺


Il giorno successivo giungo a Leonidio, altri 100 km. Qui rimango coinvolto in una festa di climbers nella quale è stata allestita la poppa di una nave con delle prese d'arrampicata.


La mattina pedalo con direzione Gythio, una faticaccia boia. Salite lunghissime, durissime, sfibranti, nella mente e nel  fisico che deve trascinare i 35 kg di peso supplementare su queste ripide pendenze. I chilometri di oggi saranno infine 90 e tutti inaspettatamente ostici. O forse sono io a trovarli tali perché non ho recuperato la fatica dei giorni scorsi.

Arrivo al Camping Meltemi e mi concedo un giorno di riposo. È il 28 ottobre, il Giorno del No, Festa Nazionale dal 1940, giorno in cui il governo e il popolo greco rifiutarno l'ingresso in Grecia alle truppe di Mussolini.

Ed eccomi qua! Perfettamente solidale con gli Ellenici.


Ghityo, che in antichità si chiamava Cranae, era l'antico porto di Sparta. La spiegazione dettagliata di tutto ciò, la si può trovare nel bel libro di Fermor, "Mani".

Mani è il nome di questa regione. Una terra dura, abitata da uomini coriacei, che si dice discendano dagli antichi spartani. Il Mani vanta il privilegio di non essere mai stato conquistato, non conosce invasioni, neppure quelle turche. Persino i pirati navigavano alla larga dalle coste maniote. Pensate che quando nasceva un bimbo, gli adulti dicevano: "È arrivato un nuovo fucile".

Sono nuovamente in viaggio direzione Kalamata, la patria delle olive. Ma prima mi attende Areopoli e poi Vathia, la più bella ghost town che io abbia mai visto.


La strada per Kalamata è meravigliosa, e non solo perché ho recuperato le forze, ma perché il paesaggio è proprio bello (o perlomeno, a me piace un sacco) e la salita non manca neppure qui, ma la faccio con gioia.

Questa giornata fatta di case di pietra, di ulivi, del blu del mare, dell'azzurro del cielo, dai buoni profumi e dal vento che ti soffia in faccia, da un senso a tutto ciò che è l'essenza di un viaggio lento. L'importanza di ciò che sta nel mezzo tra il punto di partenza e la meta.
Ho lasciato Kardamili in basso più di un'ora fa. Pedalo su questa strada in salita, con il vento contro e un susseguirsi quasi ininterrotto di autovetture. In un clima che è perfetto per me. Non sono stanco, mi piace il panorama e mentre penso questo, accade qualcosa.  Dal basso, sento provenire il suono di una tromba. Acutizzo l'udito per capirne il motivo e il vento cessa. Le macchine smettono di passare. La mia pedalata è fluente, redditizia, silenziosa. Mi trovo sospeso nel nulla, eppure su una strada. Il tempo si ferma. Le note limpide della tromba ascendono e sento salire in me una gioia interiore e un senso di gratitudine per il fatto di essere vivo, al mondo e in questa forma. Credo di trovarmi a contatto con il mio Atman, con il mio Io più intimo, con l'Anima. Chiamatelo come volete, però è questo. Poi il vento riprende a soffiare, le macchine a passare e il suono della tromba non si ode più. È questo quello a cui mi riferivo quando dicevo che l'mportanza sta nel mezzo, ma non so se mi sono spiegato.

In un campeggio ad Alissos ho la fortuna di fare la conoscenza con un ulivo millenario. Yorgos, il proprietario del campeggio, mi dice che l'ulivo ha più di 1000 anni.

La foto non da la percezione di quanto sia grande quest'albero, ma vi garantisco che è enorme. Non sembra anche a voi che abbia la forma di un gigantesco cuore?

La mattina è sempre fredda. E la mattina successiva è più fredda della precedente. I campeggi sono deserti, lontani dal paese.
I mini-market al loro interno sono chiusi, così come pure il servizio bar, niente luci. 

Alla sera mi cucino una pasta, o del riso, alla luce della mia pila frontale. Mangio ed entro in tenda infreddolito. Leggo un po' e mi addormento presto. Però mi sveglio anche presto e aspetto l'alba e poi che il sole scaldi. Mi viene in mente una frase Lakota che ho letto da qualche parte: " Sono come l'orso, mi siedo sulle zampe e aspetto il sorgere del sole".
È triste tutto ciò?
Forse.
È il preludio dell'inverno.
Viaggiare in bici è bello, ma  come lo faccio io, spostandomi da un campeggio all'altro, diventa sempre più difficile e non credo di poterlo fare ancora a lungo. Qui in Grecia, alcune strutture sono ancora aperte perché sono anche uliveti, ma quando la raccolta finirà i campeggi chiuderanno.
Ci sono tanti gattini che vivono qui. Alcuni cacciano, ma quasi tutti si nutrono delle elemosine dei campeggiatori.

Ho paura che non saranno in molti quelli che riusciranno a superare l'inverno una volta che sarà tutto chiuso. Ho preso l'abitudine di mettere un po'di pasta in più anche per loro.

(Alissos, 4 novembre 2024)

Quattro novembre?
Ma oggi è il compleanno di una mia cara amica!
Tanti Auguri Sibi! 🥳

venerdì 25 ottobre 2024

CRETA ADDIO... O NO.?


Parto da Plakias di buon ora. A tenermi compagnia c'è un vento fortissimo. Così forte da farmi quasi rinunciare a raggiungere Hora Sfakion, o Sfakia, come la chiamano qui. Scendo più volte dalla bici per non rischiare di essere buttato giù dal vento. Devo proprio fermarmi e resistere alle tremende folate con tutte le mie forze. Una volta il vento mi ha persino strappato gli occhiali da sotto il caschetto. Comunque, dopo aver lottato 4 ore contro il vento, arrivo al porto di Sfakia e scopro che il traghetto é prossimo alla partenza. Lo prendo e mi godo la traversata. Non ho mai visto un mare così azzurro, quasi non  lo si distingue  dall'azzurro del ponte della nave.


Il traghetto fa diverse fermate e poi una sosta di 3 ore a Agia Roumeli. Agia Roumeli è un villaggio semi-deserto che mi regala per qualche ora la sua spiaggia. Mi sento un po' un naufrago, una specie di Gennarino Carunchio senza la "Signora".


Riparto e quando la  nave  raggiunge Paleochora è già buio. Fortunatamente lo spartano 
campeggio che mi accoglie non è lontano dal paese.
La mattina successiva programmo di andare alla rinomata spiaggia di Elafonissi che dista dal campeggio 50 km. 

Vedo però dalla mia cartina che seguendo la strada costiera i km diventerebbero 20, di cui 7 o 8 di sterrato. Il fatto che Komoot segnali quel tratto di strada costiera come percorso cicloturistico mi conferma che il tracciato è percorribile in bicicletta. Ottimo!
Non voglio stancarmi. Domani vorrei partire per Kissamos dove dovrei trovare un passaggio su una nave che mi riporti in continente. A Ghytio per la precisione.
Equipaggio Carmencita con la borsa anteriore contenente cartine, luci, cavalletto, cavi per ricarica, memoria supplementare, penna, notes e un po' di altre cose. Porto anche la borsa laterale destra che include, costume, asciugamano, cibo per il pranzo, H2O supplementare, lucchetto, catena, pezzi di ricambio, kit tecnico e camera di scorta in caso di foratura.
Scelgo di pedalare lungo la rotta con meno chilometri. È un bel percorso, vedo delle spiaggie da sogno che fotografo per memorizzarle. Ben presto comincia la strada sterrata, è in salita, ma é pedalabile. Le pietre lungo la strada si fanno grosse ed appuntite. Non volendo rischiare di cadere e farmi male ogni tanto scendo dalla bici. Talvolta la strada scende brevemente, le salite sono invece lunghe.  Alterno i tratti in sella con quelli in cui cammino spingendo la bici. Faccio questo per circa un'ora. Poi scollino e comincia il bello. La strada scende, ma si restringe e devo camminare anche in discesa. Con il procedere le cose non migliorano. La strada, già stretta, si restringe ancor di più divenendo un sentiero. Il mio sguardo spazia lontano e vede che, oltre, il percorso dovrebbe migliorare. Ma non è così. Il sentiero diviene più piccolo, passa in mezzo a rocce grigie aguzze e taglienti. La bici si graffia (mi piange il cuore) e non passa. La devo continuamente sollevare, urtando contro il pedale e graffandomi in continuazione il peroneo è polpaccio destri. Quando il sentiero sale, mi aggrappo alle  taglienti rocce calcaree, ho i guantini, ma le dita mi si feriscono ugualmente. I guantini si tagliano e così anche le robuste scarpe Specialized.
Il sentiero sale, devo arrampicarmi. La borsa laterale è quella frontale rendono difficile il procedere. Le stacco e le porto più avanti nel sentiero.

Poi ritorno sui miei passi, prendo la bici alleggerita e la porto oltre l'ostacolo.


In questo modo riesco a superare i passaggi stretti e quelli in salita, o le discese pericolose. Faccio questo lavoro dieci, cento volte. Il sentiero si perde, diviene una traccia. Talvolta è contrassegnato da due pennellate sulle rocce, una nera e una gialla, talvolta da delle paline con scritto "e4", talaltra da semplici gnometti. Percorro quindi lo stesso sentiero tre volte: la prima in esplorazione, la seconda con le borse, la terza con la bici. Sono ben allenato, le gambe tengono, ma si graffiano tutte. Anche Carmencita si graffia ed entrambi prendiamo dei colpi. Io mi ferisco e sanguino, a lei le si riga la vernice. Faccio attenzione che non prenda colpi sul cambio. Sono quasi sempre in sicurezza, ma alcune volte, su dei passaggi difficili, ho rischiato. Se la bici mi fosse sfuggita dalle mani, messo male com'ero con le gambe, avrei potuto lussarmi la caviglia o spezzarmi un osso. Procedo lentamente e con prudenza, farsi male è facile e qui non c'è nessuno. Le ore passano. Non so perché ma non ho fame. So che non mangiare è un errore, ma proprio non mi va. Raziono l'acqua, bevendo un sorso di tanto in tanto senza mai esagerare. Spero di arrivare presto a quella che mi sembra una mulattiera, è vicina alla spiaggia, giù in basso.
La mulattiera non esiste e la spiaggia non migliora le cose. I piedi sprofondano nella sabbia fino alle caviglie e la bici subisce anche lei l'attrito della sabbia. Fatico un macello, ma almeno non è pericoloso. La mia speranza è che una volta fuori dalle dune le cose migliorino, ma non è così. Quando esco dalla zona sabbiosa ho le braccia ghisate e senza forze. Riprendo  l'avanzata in maniera alternata, prima le borse, poi la bici. Le ore scorrono, ma non posso procedere più velocemente devo calibrare bene ogni movimento. Anche la schiena è cagionevole, le mie vertebre semimobili, L4 e L5, devono assolutamente rimanere nelle loro sedi. Penso che sia meglio mangiare qualcosa, mi nutro con una una barretta, ma non è una buona idea. Mi rimane in gola, mastico, ma ho il palato così asciutto che deglutire è impossibile. Sono costretto a bere l'ultimo sorso d'acqua prezioso.
Raggiungo altre spiagge sabbiose, dapprima minuscole, poi più grandi. Qui finalmente vedo delle persone. Sono nudisti. Vedere gente mi conforta, e penso che non manchi molto alla meta.
E invece non è così, perdo il sentiero. Per ritrovarlo faccio larghi giri circolari. Sono stanco, anzi stanchissimo. Decuplico l'attenzione.  Un'altra lunghissima spiaggia nudista. I tipi mi guardano come se fossi un pazzo, vestito, che arranca nella sabbia spingendo una bici. Avrei voglia di farmi un bagno, ma non posso sprecare nè tempo nè energie. Con le mie poche forze supero la spiaggia e vado ad affrontare nuovi terreni rocciosi. Riprendo a fare l'elastico, prima porto avanti le borse, poi la bici. Se sbaglio strada, torno indietro e rifaccio tutto daccapo. Procedo con calma lungo la costa. Talvolta il sentiero si fa più bello, provo a salire in bici e pedalare ma il rischio di cadere è troppo elevato, desisto. Il cellulare è quasi scarico, lo attacco alla memoria di riserva. E poi, finalmente, arriva una strada sterrata sulla quale poter pedalare. Compaiono le auto parcheggiate, i chioschetti, i turisti...
Sono le 18.15 quando arrivo alla famosa spiaggia rosa, ma sono cosi stanco che non ne apprezzo la bellezza.


Il tramonto è già cominciato. Anche se ho i faretti preferisco non arrischiarmi nei 50 km di asfalto che mi separano dal campeggio.  Questa notte dormirò a Elafonissi.
Torno in campeggio la mattina dopo. Sono tutti contenti di vedermi, soprattutto il mio amico Wim, un ciclista olandese che aveva temuto il peggio. Mi fermo a Paleochora ancora un giorno a leccarmi le ferite, come direbbe il mio amico Totò, e parto per Kissamos. Sono 60 km con due salite, una di 14 km l'altra 6 o 7 e poi continui saliscendi, infine una lunga discesa attraverso delle gole selvagge.

Il primo traghetto che partirà dal porto di Kissamos sarà tra 7 giorni. Prendo la decisione di andare a Chania. So che dal porto di Souda ci sono traghetti giornalieri per il Pireo. È vero che allungherò di 300/400 km il mio progetto di pedalare lungo la costa del Peloponneso fino a Patrasso, ma non importa. Questa è una delle tante differenze tra un viaggio e una vacanza. E poi era da tutta la vita che sognavo di fare una cosa simile.
Faccio altri 40 km e a Chania acquisto un biglietto per il Pireo su una nave che, per ironia della sorte, si chiama Kissamos e partirà domani alle 23.
L'indomani sera però, al porto di Souda, scopro che non ci sono partenze per via di uno sciopero di 48 ore del personale Marino. Forse la Kissamos salperà venerdì.

Ecco spiegato come mai Odisseo ci ha messo tanto a tornare a casa...

(Chania, 25 ottobre 2024)



giovedì 17 ottobre 2024

CRETA OCCIDENTALE


Mi sposto ad Ovest di Hiraklion lungo la costa Nord, quella sull'Egeo. Per arrivare a Rethimno faccio oltre 90 km. Questa parte di Creta è più turistica di quella a Est. Il paesaggio è sempre molto bello, ma meno brullo. Rethimno è una bella cittadina, per grandezza è la terza di Creta e mi trovo subito a mio agio.


Quando partirò un po' mi spiacerà. A proposito, guardate qua se non avevo ragione? Carmencita nell'altra vita doveva proprio essere una parente di Ronzinante.

Mi fiondo a Cania, dove passo un po di tempo a girarovagare per i suoi carrugi e a visitare il Monastero di Gouvernetos nel centro della Penisola di Akrotiri. Qui mangio un pezzettone di pane dolce, offerto dal buon prete ai visitatori.

M'incammino giù da una mulattiera fino ad inoltrarmi lungo la scoscesa gola che mi condurrà a Katholiko Bay, ossia al mare.
Lungo questo cammino scopro che tutta la montagna era un luogo di preghiera e i preti  vivevano come eremiti in grotte allestite spartanamente.

Mi muovo poi alla volta di Stavros, con la più bella spiaggia vista finora.
Sapete che spiaggia è quella di Stavros?
No?
Allora vi do un piccolo aiuto:


E per coloro che non hanno visto il film, ecco qua di cosa sto parlando:

https://youtu.be/2AzpHvLWFUM?si=nyuIljOchYNhMOew

Fa un certo effetto guardare questo posto e vederlo a colori. Chissà quanto era bello negli anni '60 quando Cacoyannis ha girato il film? Non vi nascondo che sono fortemente emozionato e felicissimo di essere qui.

Ritorno sulla costa Sud di Creta, per approdare a Matala, la spiaggia resa famosa dagli hippies che vivevano nelle cave della montagna.

Ora gli hippies sono un po' invecchiati e vivono in automobili anch'esse datate e la montagna è messa in sicurezza perché soggetta a frane. Il camping è più un parcheggio polveroso che un campeggio vero e proprio, ma ha i servizi necessari. Nel mio pernotto la mia tenda viene scambiata per una foglia di lattuga gigante da migliaia di bruchini che se la vogliono mangiare, includendo nel pasto anche il sottoscritto.

La disinfestazione richiede un bel po' di tempo e riesco a completarla solo ad Agia Gallini. Qui vi rimango un giorno e poi mi dirigo a Plakias, un moderno villaggio di mare, attraverso un itinerario tortuosissimo, che mi ha suggerito la mia parte avventurosa.
Che vi devo dire? Mentre il mio "Io" prudente mi dice: "Segui le strade pricipali, ascolta GoogleMap...". L'altro "Me" mi suggerisce: "Vai di qua! Guarda che bel panorama!"
E mi fa fare una faticaccia boia!
Però, alla fine, sono contento.

Il giorno dopo sono di nuovo in viaggio per Sfakia, dove finiscono tutte le strade. Per proseguire oltre, verso Ovest, lo si può fare solo in traghetto: almeno credo...

(Plakias, 17 ottobre 2024)

martedì 8 ottobre 2024

TRA IL MAR EGEO E IL MAR LIBICO.

 Si, ho visto così tanti bei posti in questo viaggio...

Per esempio, questo è un tramonto a Koutsounari, dove sto in campeggio. 


E questa è Agios Nikolaos, una delle innumerevoli piccole Venezie.
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Ecco Sitia, col suo bel porticciolo, pensate che ha il palmeto più grande d'Europa,  con 550 specie diverse.

E poi c'è Ierapetra e la Fortezza Napoleonica.

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Anche se la cosa che mi è piaciuta di più di Ierapetra è stato un croissant gigante e una ragazza che somigliava tantissimo a Sara.

Xerokapas è il posto più a Est dove ho fatto il bagno...

Nel campeggo di Koutsounari, sul Mar Libico, sono stato davvero bene. Ma, se voglio vedere la valle dei mulini a vento, devo ritornare nell'altra costa, quella sull'Egeo. 
Così ci torno.
Parto di buon'ora e mi sposto verso l'interno per scoprire che la bellezza sta nelle piccole cose.


Mi prende fame e mi fermo in un supermercato lungo una desolata strada che sfiora un minuscolo villaggio.
Ció che ho capito della Grecia,  di Creta perlomeno, è che i supermercati sono dotati di un operoso bar, fornito di leccornie di ogni tipo. Una delle mie preferite è una specie di torta salata con feta e spinaci. Me la ordino e prendo un caffè greco a farle compagnia. Questi "sosti", hanno solitamente dei tavolini dove ci si può sedere ad osservare il lento viavai circostante. E mentre sono lì che mangio e aspetto che il caffè si freddi, guardo Carmencita appoggiata alla ringhiera difronte a me e penso ad alta voce:
"Che peccato amica mia che tu non possa godere dei piaceri del palato. Come potresti? Tu che sei solo una bicicletta."

Beh, siete liberi di crederci o meno, ma vi giuro che Carmencita mi ha risposto.
Mi ha detto cosi:
"Max, quarda che una bici non è solo due ruote, un telaio e una catena. Ciò che una bici è, ciò che io Carmencita sono in realtà... è libertà!"
Sangue di Giuda! Questa non me l'aspettavo.
"È vero!" Rispondo.
"Scusa amica mia. Tu sei il mio Ronzinante ed io un moderno Don Chisciotte, entrambi diretti all'altopiano di Lashiti, nella patria dei mulini a vento. 

Ma non andremo li a sfidarli - questi ultimi dinosauri -, ma a rendere omaggio a un mondo che non esiste più."

(Orepedio Lasithi, 7 ottobre 2024)

martedì 1 ottobre 2024

CRETA!

Atene.

Piazza Syntagma: cambio della guardia.

Piazza Omonia: crocevia della città.

Acropoli: era da un po'di tempo che non sentivo parlare italiano.
La Plaka: non è più come la ricordavo. Il dedalo di antiche vie colme di botteghe artigianali e rosticcerie a buon mercato, sono state sostituite dai classici negozi per turisti.
Due notti ad Atene possono bastare.
Smonto la tenda prima dell'alba e alle 7 sono al Pireo ad imbarcarmi per Creta.
Creta è lo scopo di questo mio viaggio, la destinazione finale. Me la sono voluta gustare, posticipandola. Sono convinto che la bellezza stia nell'attesa. Perché l'esistenza è ciò che sta nel mezzo, tra l'inizio e il fine ultimo.
Guardo il traghetto fare scalo a Paros, a Naxos. Ciascuna isola è per me una tentazione. Scendi... scendi... mi dice una vocina interiore. Io non scendo, però, ogni uomo ha il suo limite. Il mio si chiama Santorini.


"Vieni Carmencita! Andiamo a vedere questa meraviglia!"
Ed è così mi trovo in uno dei posti più belli del mondo. Già, chi l'avrebbe mai detto che un giorno avrei pedalato in una cartolina.
Oia (si chiama cosi il più bel paese dell'isola) è proprio come la si vede in foto: un sogno. Penso che tutte le foto della Grecia, ed intendo quelle con le chiesette col tetto azzurro e il mare e cielo blu come sfondo, siano state scattate qui.

Ma anche Fira, il paese dove sono in campeggio, non è male.

Però, che una cosa sia chiara: Non aspettatevi di trovare spiagge caraibiche. Qui siamo su un isola vulcanica; dunque pietre e sabbia scure, rosse tuttalpiù, e mare blu cobalto.
Quanto sto a Santorini? Tre giorni? Quattro?
Non lo so. Però l'ho girata in lungo e in largo ed ora me ne voglio andare a Creta.
A Creta ci arriverò di sera e in campeggio, che sta a 20 km da Heraklion,  di notte, col buio. Qui il sole tramonta alle 19.00 (18.00 ora italiana).



Creta! Finalmente. Eh si, ho un sacco di cose da fare a Creta!
Prima di tutto devo rendere omaggio al mio amico Nikos Kazatzakis.

La sua tomba è tumolata sul Bastione Martinengo sulle antiche mura della città vecchia (che in alcuni punti raggiungono lo spessore di 40 mt - ci si può passeggiare/pedalare sopra). Poi visitare il museo a lui dedicato nel villaggio di Mytria.


Fare una visita al Palazzo di Knosso, così da avere un contatto con l'età del bronzo.

Vedere la fortezza Veneziana.

Visitare il Museo di storia cretese...

e recuperare in una libreria dell'usato un'edizione di Zorba in lingua madre.
Nel giro di quattro giorni faccio tutto. Non trovo però la copia di Zorba, anche se ho recuperato l'ISBN.

Sapete una cosa? Quel che ho visto di Creta, anzi della provincia di Heraklion per ora, è proprio bello!

              (Gouves, 1 ottobre 2024)

lunedì 23 settembre 2024

Grecia in bici - Giungo ad Atene

Il Pilio è situato nell'Est della Grecia, la cui città più importante è Volos. 

Sono qui perché vorrei arrivare ad Atene dalla penisola di Evia, attaccata al continente da un itsmo di terra che sfocia ad Halkida. Ho la convinzione che passando di qua eviterei il grande traffico della capitale Greca. Ora sono a Kato Gaze e piove. Scopro che dal Pilio - neppure dal Sud, che è proptio di fronte all'Evia, nel Golfo Maliaco - non ci sono navi che traghettano. Devo quindi ritornare in dietro. Muovo Verso Lamia passando lungo zone pericolose, campi di zingari e cani randagi. Pedalo come un forsennato e dopo oltre 150 chilometri giungo stremato a Agios Serafim, dove mi accoglie il Camping Venezuela.

Il proprietario della taverna del campeggio, è un uomo burbero che mi offre del vino e che beviamo alla nostra salute. Ma tutte le cose belle passano. È ora di spostarsi verso Arkitsa. Già, non ho dimenticato il mio progetto di raggiungere Atene per l'Evia.
Ad Arkitsa mi imbarco per Loudra Edipsou, un ridente villaggio di Evia. Qui faccio parche provviste e mi sposto a Sud, ma solo per scoprire che la strada è interrotta. Per arrivare dove vorrei arrivare sono obbligato ad allungare il mio percorso di un centinaio di chilometri. Passo attraverso luoghi che mettono una tristezza infinita. Pedalo per ore attraverso montagne bruciate ed alberi abbattuti dagli apocalittici incedi del 2021/22.

A Rovies mi fermo un giorno per il maltempo e poi vado a Eretria ad imbarcarmi per il continente.

Le colline che vedo dietro Oropos mi fanno intuire che i 60 km che mi separano da Atene non saranno una passeggiata. Comunque, infine, tra chilometri in autostrada ed errori vari, ad Atene ci giungo.
Il camping è austero. In reception storcono un po' il naso perché non ho prenotato, ma poi mi permettono di soggiornare.

Questa è Carmencita... :-)

(Atene, 23.09.2024)