Arrivo a Patrasso verso mezzogiorno, vado alla biglietteria marittima e acquisto, per il giorno stesso, un posto ponte per Bari.
La nave partirà alle 17.30 per cui ho alcune ore libere per mangiare, fare un giretto in città e organizzarmi per la traversata. Patrasso non è più la squallida cittadina portuale che conoscevo, si è vivacizzata. Ora ci sono bei negozi e tanti localini. Certo, le periferie sono un po' malmesse, ma è inevitabile che sia così. Quando ritorno nell'area portuale la memoria mi riporta indietro di una ventina d’anni e noto l’assenza dei ragazzini che scavalcano le barriere con l’intento d’imbarcarsi clandestinamente per l'Italia. Probabilmente il “Bel Paese” non è più considerata una meta così appetibile.
Mi avvio verso il check
in, un dedalo di corridoi che mi conduce inaspettatamente al posto di Polizia di Frontiera
dove vengo invitato a presentare i documenti. Quando vedono la mia nazionalità
mi scrutano attentamente il volto e lo confrontano con quello sulla Carta
d'Identità. Eseguono più volte questa manfrina, come avevano fatto in Russia
prima della Perestrojka e poi mi conducono in un'altra stanza dove mi fanno
smontare armi e bagagli da Carmencita. Segue un'accurata ispezione che si
conclude con il sequestro del mio Opinel valenciano e del mio fornellino da
campeggio, con bombola annessa, al quale sono molto affezionato perché viaggia
con me dal 1982. Provo a protestare, ma non c'è nulla da fare. Mi dicono che le
mie cose mi verranno restituite dalla Polizia Italiana.
Entro in stiva e lego la bici dove mi viene detto. Salgo
sul ponte della nave usando le scale mobili e mi trovo un posticino dove sistemare
tutte le mie cose. Poi vedo Massel, un tedesco enorme che avevo conosciuto al
campeggio di Alissos. Anche lui si cucinava col fornellino e si tagliava il
pane col coltello. Mi viene spontaneo chiedergli se avessero perquisito anche
lui.
"Nain" mi dice. Gli hanno solo controllato
passaporto e documenti di viaggio.
Immaginavo...
"Italia Grezia, una fazza una razza".
Si, una volta, forse.
A una certa, apro stuoia e sacco a pelo e mi allungo per
riposare.
Arrivo a Bari con un'ora di ritardo. Un'altra mezz'ora se
ne va nello sbarco. Sono le 10.30. Il treno InterCity per Milano, l'unico sul
quale possa portare la mia bici, arriverà alla stazione di Bari Centrale alle
11.50. Ho tempo per andare alla Polizia a prendermi le mie cose, o almeno così
credevo, perché una volta lì le cose andranno diversamente.
"Ma lei lo ha detto al personale della nave che la
Polizia greca le ha sequestrato della roba?" Mi domanda un agente.
"No. Dovevo?" chiedo.
"Certo. Così ce la portavano."
"Scusi” replico. “Ma non è una prassi che dovrebbero eseguire
in autonomia?"
Il poliziotto sorride.
Intuisco che la mia roba è persa.
"E poi c'è un'altra cosa" aggiungo.
"C’era un tedesco con me sulla nave. Anche lui aveva
fornellino e coltellino. Lo so perché eravamo nello stesso campeggio e glieli
ho visti usare. Perché a lui glieli hanno lasciati e a me no?"
Pazientemente il poliziotto mi spiega: "Vede, lei si
è vinto una perquisizione. Ogni tanto, a campione, vengono eseguite delle
perquisizioni, lo facciamo anche noi. La perquisizione è toccata a lei."
Solita fortuna, penso.
Poi il poliziotto aggiunge: "Se torna sulla nave e spiega
il tutto alle autorità, vedrà che ci portano le sue cose e noi gliele
restituiamo."
"Grazie, ma tra un'ora ho il treno per Milano. Perderlo vuol dire fermarmi una notte a Bari e sinceramente preferirei evitarlo."
Ringrazio, saluto e mi precipito in stazione.
Alla biglietteria mi aspetta una notizia che non definirei buona. Sul mio treno, che è l’unico per il Nord Italia che può trasportare biciclette al seguito, non c'è il posto per la bici e non possono quindi emettere il biglietto.
Scalogna maledetta!
Il fato si sta impegnando a crearmi contrattempi.
Non fidandomi faccio un controllo tramite il terminale della biglietteria automatica. In effetti è vero. Vedo che il risultato della mia ricerca si risolve con: "Biglietto non emissibile. Posto bici non disponibile".
Mi viene in mente l'esistenza di Flixbus. Penso che potrei prendere un
pullman su cui caricarvi la bici. Certo, il viaggio sarà più lungo e scomodo,
ma almeno non dovrò fermarmi a dormire a Bari.
Faccio così un altro buco nell’acqua: Nell'immediato non ci sono Flixbus
con portabici, nei prossimi giorni vengono stivati solo bagagli ordinari.
Non mi dò per vinto. Decido di andare al binario e
prendere il treno anche senza biglietto, lo farò a bordo. Mal che vada non mi faranno salire, o m’inviteranno a scendere.
Sono sul binario da appena due minuti quando arriva il treno. Salgo senza problemi e appendo la bici nell’apposita carrozza. Su sei portabici ce ne sono tre liberi e questo dimostra che l'informatica non è una scienza esatta.
Carmencita è la quarta, quella con la borraccia rossa.
Mi accomodo e non appena il treno parte vado dal capotreno,
una donna, e gli dico che sono salito di corsa e che dovrei fare il biglietto.
“Mò vengo...” mi risponde.
Arriverà il suo collega due ore più tardi e mi farà il
biglietto senza problemi e senza supplementi.
Se penso che se fossi stato meno determinato non avrei mai preso questo treno, mi monta una certa avversione per l'esagerata informatizzazione. Fortunatamente il mio stato di boomer m'ha permesso di trovare una soluzione alla maniera dei vecchi tempi.
Mi compro sull'app di TrenItalia il biglietto per Torino delle 22.15 e arrivo a Milano Centrale in tempo per salire sul mio treno. Il vagone per le bici è in testa al convoglio e fino a Vercelli viaggio in compagnia di parecchi Glovo di altre etnie e di scalcinate e-bike.
Inganno il tempo facendo un bilancio di questi due mesi di viaggio in bicicletta: 3600 km a fronte di 35000 metri di dislivello. Non male per un anziano signore sgangherato ☺.
È mezzanotte passata quando arrivo a Torino. Accendo i faretti e pedalo, gli ultimi chilometri che mi separano da casa, silenzioso e nella nebbia.
Ad aprirmi
la porta di casa ci sarà Sara, ma anche una gradita ospite che fa le veci di
Laura e che ormai è di famiglia.
(Torino, 7 novembre 2024)