Parto da Plakias di buon ora. A tenermi compagnia c'è un vento fortissimo. Così forte da farmi quasi rinunciare a raggiungere Hora Sfakion, o Sfakia, come la chiamano qui. Scendo più volte dalla bici per non rischiare di essere buttato giù dal vento. Devo proprio fermarmi e resistere alle tremende folate con tutte le mie forze. Una volta il vento mi ha persino strappato gli occhiali da sotto il caschetto. Comunque, dopo aver lottato 4 ore contro il vento, arrivo al porto di Sfakia e scopro che il traghetto é prossimo alla partenza. Lo prendo e mi godo la traversata. Non ho mai visto un mare così azzurro, quasi non lo si distingue dall'azzurro del ponte della nave.
Il traghetto fa diverse fermate e poi una sosta di 3 ore a Agia Roumeli. Agia Roumeli è un villaggio semi-deserto che mi regala per qualche ora la sua spiaggia. Mi sento un po' un naufrago, una specie di Gennarino Carunchio senza la "Signora".
La mattina successiva programmo di andare alla rinomata spiaggia di Elafonissi che dista dal campeggio 50 km.
Non voglio stancarmi. Domani vorrei partire per Kissamos dove dovrei trovare un passaggio su una nave che mi riporti in continente. A Ghytio per la precisione.
Equipaggio Carmencita con la borsa anteriore contenente cartine, luci, cavalletto, cavi per ricarica, memoria supplementare, penna, notes e un po' di altre cose. Porto anche la borsa laterale destra che include, costume, asciugamano, cibo per il pranzo, H2O supplementare, lucchetto, catena, pezzi di ricambio, kit tecnico e camera di scorta in caso di foratura.
Scelgo di pedalare lungo la rotta con meno chilometri. È un bel percorso, vedo delle spiaggie da sogno che fotografo per memorizzarle. Ben presto comincia la strada sterrata, è in salita, ma é pedalabile. Le pietre lungo la strada si fanno grosse ed appuntite. Non volendo rischiare di cadere e farmi male ogni tanto scendo dalla bici. Talvolta la strada scende brevemente, le salite sono invece lunghe. Alterno i tratti in sella con quelli in cui cammino spingendo la bici. Faccio questo per circa un'ora. Poi scollino e comincia il bello. La strada scende, ma si restringe e devo camminare anche in discesa. Con il procedere le cose non migliorano. La strada, già stretta, si restringe ancor di più divenendo un sentiero. Il mio sguardo spazia lontano e vede che, oltre, il percorso dovrebbe migliorare. Ma non è così. Il sentiero diviene più piccolo, passa in mezzo a rocce grigie aguzze e taglienti. La bici si graffia (mi piange il cuore) e non passa. La devo continuamente sollevare, urtando contro il pedale e graffandomi in continuazione il peroneo è polpaccio destri. Quando il sentiero sale, mi aggrappo alle taglienti rocce calcaree, ho i guantini, ma le dita mi si feriscono ugualmente. I guantini si tagliano e così anche le robuste scarpe Specialized.
Il sentiero sale, devo arrampicarmi. La borsa laterale è quella frontale rendono difficile il procedere. Le stacco e le porto più avanti nel sentiero.
La mulattiera non esiste e la spiaggia non migliora le cose. I piedi sprofondano nella sabbia fino alle caviglie e la bici subisce anche lei l'attrito della sabbia. Fatico un macello, ma almeno non è pericoloso. La mia speranza è che una volta fuori dalle dune le cose migliorino, ma non è così. Quando esco dalla zona sabbiosa ho le braccia ghisate e senza forze. Riprendo l'avanzata in maniera alternata, prima le borse, poi la bici. Le ore scorrono, ma non posso procedere più velocemente devo calibrare bene ogni movimento. Anche la schiena è cagionevole, le mie vertebre semimobili, L4 e L5, devono assolutamente rimanere nelle loro sedi. Penso che sia meglio mangiare qualcosa, mi nutro con una una barretta, ma non è una buona idea. Mi rimane in gola, mastico, ma ho il palato così asciutto che deglutire è impossibile. Sono costretto a bere l'ultimo sorso d'acqua prezioso.
Raggiungo altre spiagge sabbiose, dapprima minuscole, poi più grandi. Qui finalmente vedo delle persone. Sono nudisti. Vedere gente mi conforta, e penso che non manchi molto alla meta.
E invece non è così, perdo il sentiero. Per ritrovarlo faccio larghi giri circolari. Sono stanco, anzi stanchissimo. Decuplico l'attenzione. Un'altra lunghissima spiaggia nudista. I tipi mi guardano come se fossi un pazzo, vestito, che arranca nella sabbia spingendo una bici. Avrei voglia di farmi un bagno, ma non posso sprecare nè tempo nè energie. Con le mie poche forze supero la spiaggia e vado ad affrontare nuovi terreni rocciosi. Riprendo a fare l'elastico, prima porto avanti le borse, poi la bici. Se sbaglio strada, torno indietro e rifaccio tutto daccapo. Procedo con calma lungo la costa. Talvolta il sentiero si fa più bello, provo a salire in bici e pedalare ma il rischio di cadere è troppo elevato, desisto. Il cellulare è quasi scarico, lo attacco alla memoria di riserva. E poi, finalmente, arriva una strada sterrata sulla quale poter pedalare. Compaiono le auto parcheggiate, i chioschetti, i turisti...
Sono le 18.15 quando arrivo alla famosa spiaggia rosa, ma sono cosi stanco che non ne apprezzo la bellezza.
Il primo traghetto che partirà dal porto di Kissamos sarà tra 7 giorni. Prendo la decisione di andare a Chania. So che dal porto di Souda ci sono traghetti giornalieri per il Pireo. È vero che allungherò di 300/400 km il mio progetto di pedalare lungo la costa del Peloponneso fino a Patrasso, ma non importa. Questa è una delle tante differenze tra un viaggio e una vacanza. E poi era da tutta la vita che sognavo di fare una cosa simile.
Faccio altri 40 km e a Chania acquisto un biglietto per il Pireo su una nave che, per ironia della sorte, si chiama Kissamos e partirà domani alle 23.
L'indomani sera però, al porto di Souda, scopro che non ci sono partenze per via di uno sciopero di 48 ore del personale Marino. Forse la Kissamos salperà venerdì.
Ecco spiegato come mai Odisseo ci ha messo tanto a tornare a casa...