Studio sulla carta geografica il percorso e per comodità lo divido in tre tratti. Da Casellette al Col del Lys, dal Col del Lys al Colombardo, dal Colombardo a Borgone.
Analizzo il primo tratto, ‘Cassellette-Lys’: da Casellette fino alla croce del Musinè non c’è problema, la strada l’ho già fatta altre volte e la conosco, ma trovare la via che dalla croce porta al Col del Lys è tutt’altra faccenda.
Il secondo tratto, ‘Lys-Colombardo’, mi è del tutto sconosciuto.
Il terzo tratto, ‘Colombardo-Borgone’, mi è famigliare, sono le montagne vicine a casa e le conosco bene.
Per compiere il tragitto nella sua interezza credo che occorrano due o tre giorni con tanto di pernottamento nei boschi. Ma può un padre coscienzioso, un tenero marito, che ama bimbe e moglietta più d’ogni cosa al mondo e che in tanti anni non ha mai mancato d’augurare la buona notte alle sue tre gioie, assentarsi giorni e notti solo per dare soddisfazione ad un suo capriccio?
La risposta e ovviamente un “no”.
Ci vuole una buona idea, la chiamo e lei arriva a soccorrermi. Mi dice di percorrere a più riprese il tragitto, di trovare la via e tornarci poi con la famiglia al gran completo, magari d’estate.
Non male come pensata, peccato che per andare a Casellette mi serva l’auto, e che a casa mia ce ne sia una sola, e che Cinzia la usi tutti i giorni per portare le bimbe a scuola.
Una soluzione però ci sarebbe: si chiama Cimmeria.
A metà degli anni ’80 acquistai un telaio Cannondale in alluminio, uno dei primi usati per bici da montagna. Me lo vendette ad una cifra irrisoria il mio amico Salvatore, un corridore fortissimo. Montai il Cannondale con materiale di seconda mano, ma di ottima qualità, e venne fuori una bella bicicletta. Poiché la bici era di colore nero, la battezzai “Cimmeria”, come la terra dai lunghi inverni che diede i natali a Conan il barbaro.
Cimmeria è ora smontata, appoggiata all’angolo sinistro del mio piccolo garage e sepolta da una quantità di rumenta indescrivibile. A casa nostra non c’è la cantina ed al garage tocca svolgere anche quel compito. Cimmeria sta sotto un’enormità di vettovaglie, imprigionata da scatoloni colmi di abbigliamento da bici dimesso, da assi di legno grosse e piccole, dalla tenda per il campeggio, dai sacchi a pelo, dal fornello a gas, dal tavolo, dalle sedie e dalle bici delle bimbe. Cimmeria è stata in garage sotto il tumulo di cianfrusaglie per anni, ma ora che mi è tornata in mente le cose cambieranno. Non esiste al mondo mezzo migliore per risolvere i miei problemi di trasporto, per scorazzare liberamente nella valle, fuori e dentro l’asfalto, e dar così vita al mio progetto. Di buona lena mi dedico al ripulisti del garage ed esumo il telaio impolverato. Rimonto sella, pedali, manubrio e ruote. Sostituisco catena, pignoni e fili dei freni. Lubrifico tutte le parti meccaniche. Sono felice nel ridar vita alla bicicletta, soffro a non usare le cose che acquisto. Cerco di non farmi prendere dal meccanismo del consumismo, ma talvolta ci casco e compro oggetti che poi stanno inusati in qualche angolo della casa. Da alcuni anni a questa parte tento di porre rimedio a questa inclinazione, mi disfo del superfluo e tengo solo ciò che mi occorre. Le bici, quella da montagna e quella da strada, fanno parte del mio passato di corridore e non sono mai stato capace di darle via.
L’avere corso in bicicletta per tanti anni, mi ha portato ad accumulare parecchi pezzi di ricambio, che certo nulla hanno a vedere con la qualità dei moderni materiali con cui sono equipaggiate le bici di oggi, ma che vanno ancora bene. Ho tenuto con cura per anni questa roba ed il solo pensiero di riuscire ora ad utilizzarla mi rende felice. Quando finisco ho le mani sporche di grasso, ma Cimmeria è lustra come se fosse appena uscita dalla bottega di un mastro artigiano. Non ho però camere di scorta con la valvola fine: decido di andare da Sergio (cicli Giai) a Sant’Ambrogio, e procurarmene un paio. Sono parecchi anni che non vedo Sergio, un tempo eravamo amici ma adesso chissà? Da quando ho smesso di correre, mi sono completamente estromesso da giro degli amici di bici, ho tagliato i ponti con tutti. Ho reciso anni di amicizie, abitudini, attitudini. D’altronde la bici chiede molto ai corridori e uno col mio carattere non ha alternative se non quella di dare un taglio netto e chiudere col passato. Incapace di guardare altri godere del mio amore per la bici e impossibilitato a praticarlo di persona a causa del tempo tiranno, non ho lasciato alcuna appendice che avrebbe potuto causarmi sofferenza. Nessuno ha provato a rimettermi in sella. Per gli amici corridori non è stato difficile rispettare la mia scelta presi come sono da gare, allenamenti, massaggi e meccanica.
Così sono messo io quando entro nel negozio di Sergio, sono un ex corridore sparito dalla circolazione che va a comprare due camere per la sua vecchia muntan bike. Chissà come mi accoglierà il mio vecchio amico? Sarà freddo? Gli farà piacere vedermi? Una volta mi chiamava fratello.
«Fratello!» esclama Sergio non appena mi vede. Sospende di montare la bici appesa al cavalletto e corre ad abbracciarmi. Mi mostra le foto del suo matrimonio e rievoca i bei tempi passati, quando si andava in giro a correre e a fare i mattatori sulle strade d’Italia.
«Questo era una bestia!» dice al giovane meccanico che lo aiuta in negozio. «Non mollava mai. Entrava in tutte le fughe e al momento buono ci ficcava la zampata». Io sorrido, fa sempre piacere ricevere complimenti. A casa ho coppe e medaglie che mi ricordano le glorie passate, ma alle volte mi sembra che siano di un’altra persona.
Mi faccio dare un filo nuovo per il cambio ed intanto butto un’occhiata ai prezzi delle calzature. Con gli anni mi si è allargata la pianta del piede e le vecchie scarpe da MTB mi vanno un po’ strette. Quelle meno costose ammontano a 160 euro: cavoli che cifre! Non ho certo intenzione d’affrontare una simile spesa.«Sergio» dico, «chissà se nel tuo giro di ciclisti c’è qualcuno che si vuole disfare delle sue scarpe da MTB. Sai, le mie stringono un po’, ma piuttosto che spendere 160 euro mi tengo il male ai piedi.»
«Quando fai così mi sembri Totò!» dice. Totò sarebbe il nostro comune amico Salvatore, quello del Cannondale.
«L’hai più visto?» domando.
«Si» dice Sergio, «ogni tanto mi passa a trovare e mi fa impazzire, però è simpatico.»
«Già» dico. «Io è da un po’ che non lo vedo.»
Sergio prende una busta di nylon sotto uno scaffale, dentro c’è qualcosa, me la butta.
«Scarpe Diadora numero 43» dice. «Le ho usate due volte, provale.»
Le indosso. Sono perfette. Hanno le clips a sgancio rapido, ma sono senza tacchette.
«I miei pedali sono degli “XT” primo modello, hai due tacchette da montare?» chiedo. «Preferibilmente usate.»
«Certo» dice Sergio.
Rovista in un cassetto finché le trova. Le monta sulle scarpe e me le fa riprovare.
«Ti vanno bene?» domanda.
«Sicuro» dico. «Quanto ti devo?»
«Lascia stare.» Dice imitando la voce di Totò. «Prendi e porta a casa! E vai in bici piuttosto!»
«Grazie» dico.
«La senti la ripresa?» domanda Sergio ridendo, e per ripresa intende la voglia di ritornare a pedalare.«La sento accidenti a te! Eccome se la sento!»